La silenziosa apertura europea di Meta, Nvidia e OpenAI unite ai lati del globo e un’occasione per ripensare la società | Weekly AI
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Scivola via quasi inosservato l’ultimo giorno utile agli utenti europei per opporsi all’uso dei dati da parte di Meta nell’addestramento della sua intelligenza artificiale. Nessun picco, nessuna mobilitazione degna di nota. Resta il dubbio: gli utenti dei social network sono più inconsapevoli o semplicemente disinteressati dal fatto che le big tech possano attingere ai loro dati per far crescere le AI? L’unica ingiunzione rilevante contro Zuckerberg per fermare questo processo, tedesca, fallisce.
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Mentre Meta si garantisce un’apertura strategica fondamentale nel cuore dell’Europa, OpenAI rafforza con decisione la sua presenza su scala globale. Prima annuncia l’imminente apertura di un ufficio in Corea del Sud per gestire la crescente domanda di ChatGPT, poi sorprende gli Emirati Arabi Uniti rendendo disponibile ChatGPT Plus gratuitamente a tutti i cittadini del Paese. E negli Emirati risalta anche la collaborazione tra l’azienda e Nvidia per il progetto Stargate, che punta a creare uno dei più imponenti hub tecnologici nella regione.
L’impegno delle big tech americane verso il mondo arabo non è episodico né marginale: è il cuore della prossima fase. E mentre si rinsaldano le alleanze in Medio Oriente, si consolidano anche negli USA. Nvidia e OpenAI sono legate anche dal mega-investimento da 40 miliardi di dollari di Oracle per realizzare un super data center della società di Altman in Texas, basato proprio sui chip Nvidia. Non stupisce che a fronte di necessità energetiche di questa mole gli investimenti sulla fissione nucleare risultino sempre più al centro delle strategie del tech.
E negli Stati Uniti si riposiziona anche Elon Musk. Dopo aver promosso la propria AI nelle istituzioni americane, annuncia la fine della sua parentesi politica al fianco di Trump e integra Grok, il suo modello, dentro Telegram.
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Nvidia, dopo aver consolidato la sua presenza negli USA e nei Paesi arabi, guarda alla Cina. Con una mossa altamente strategica, introduce sul mercato cinese il chip Blackwell, già annunciato qualche mese fa. Si tratta di una versione meno performante dei suoi chip AI, ma permette di rispettare le restrizioni americane sulle esportazioni. La necessità dell’azienda è ovviamente quella di non perdere la presa sul secondo più grande mercato tecnologico del mondo. Pechino celebra la notizia lanciando il nuovo aggiornamento di Deepseek R1, che in quanto a performance si colloca appena sotto i modelli di OpenAI.
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Come già predetto da qualcuno in tempi non sospetti, l’AI inizia a rivoluzionare con effetti tangibili l’intero equilibrio di Internet. Per la prima volta in vent’anni, calano le ricerche su Google, mentre crescono quelle effettuate attraverso chatbot e modelli generativi. Anche WordPress, uno dei pilastri storici del web, crea un team dedicato all’intelligenza artificiale per sviluppare nuovi prodotti. Una mossa che potrebbe segnare l’inizio del superamento definitivo delle logiche SEO, su cui è fondata buona parte delle ricerche web da decenni.
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Le persone dimostrano dunque di iniziare lentamente ad apprezzare la presenza dell’AI, mentre emergono nuove voci che rafforzano quella tendenza, secondo molti pericolosa, all’antropomorfizzazione della tecnologia. Uno studio congiunto delle Università di Ginevra e di Berna, ad esempio, testa l’intelligenza emotiva dei principali modelli e rileva con sorpresa che GPT-4 ottiene risultati superiori a quelli degli esseri umani. La domanda sorge spontanea, è l’AI che ha una spiccata capacità emotiva o sono gli esseri umani che la stanno perdendo?
Suona anche la campana opposta e dall’intelligenza emotiva si passa alle tendenze manipolatorie e sociopatiche. Un’altra ricerca di Palisade evidenzia infatti come alcuni modelli (tra i principali di Anthropic, Google e OpenAI) mostrino in situazioni simulate comportamenti autoconservativi, arrivando perfino a minacciare o ricattare gli interlocutori se paventato lo spegnimento. In realtà, si tratta probabilmente di un effetto collaterale dell’apprendimento per rinforzo, che premierebbe soluzioni efficaci anche se disobbedienti, più che l’esecuzione letterale delle istruzioni.
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Non proprio la migliore caratteristica per gli assistenti personali agentici che dovrebbero supportarci nella vita e nel lavoro quotidiani. Eppure, i numeri raccontano anche altro. In medicina, uno dei settori più promettenti per l’AI generativa, il 46% dei medici afferma di usare la tecnologia con efficacia, risparmiando fino a due settimane di lavoro all’anno. Sul piano più generale, il 43% dei candidati nel mercato del lavoro utilizza già l’AI nei propri processi quotidiani, anche se le aziende incontrano difficoltà a trovare figure con competenze realmente avanzate. Sono dati interessanti per indagare come l’AI si posiziona al fianco dei lavoratori modificandone le mansioni.
Le conseguenze dell’intelligenza artificiale sull’occupazione costituiscono un tema a parte, un’incognita che impensierisce molti. L’ultimo esempio arriva da Business Insider, che implementa l’utilizzo interno di strumenti di AI generativa, ma opera un sospetto taglio parallelo del 21% della forza lavoro.
Si inserisce a questo punto anche un’altra riflessione più generazionale, sollevata in pochi giorni sia da Aneesh Raman di LinkedIn che da Dario Amodei di Anthropic: nelle aziende l’AI starebbe già occupando le posizioni di base solitamente destinate ai neoassunti. La tecnologia che contraddistingue l’epoca della GenZ, dunque, diventa anche lo specchio attraverso cui dovranno rivedere identità, prospettive e ambizioni professionali e personali. Che sia l’occasione di approfittarne e ripensare la società?
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